Martedì, 01 ottobre 2024

PREMESSA

CARATTERE DELLA RIFORMA
DEL BREVIARIO AMBROSIANO

 

Il Concilio Ecumenico Vaticano II nella Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra Liturgia, emanata il 4 dicembre 1963. ha indicato in forma solenne i principi ispiratori per la riforma dell'Ufficio Romano, «perché i Sacerdoti e gli altri membri della Chiesa possano meglio e più perfettamente recitare l'Ufficio divino nelle condizioni di vita di oggi» (SC n. 87). Inoltre già da più anni, per disposizione del S. Padre Paolo VI, è stato promulgato il Libro della Liturgia delle Ore secondo il Rito Romano.
Per questi motivi, l'Emm.mo e Rev.mo Cardinale Giovanni Colombo, Arcivescovo di Milano, ha invitato la S. Congregazione del Rito Ambrosiano a predisporre una riforma del Breviario Ambrosiano, che si ispiri ai medesimi principi stabiliti dal Concilio Vaticano, senza tuttavia detrarre alcunché al tesoro spirituale della venerabile tradizione ambrosiana.
Infatti il Concilio dichiara che «la santa Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti legittimamente conosciuti e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati ove sia necessario, vengano prudentemente e integralmente riveduti nello spirito della sana tradizione e venga loro dato un nuovo vigore come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo» (Ibid., n. 4).
Tra i principi indicati dal Concilio per l'incremento e la riforma della liturgia «alcuni possono e devono essere applicati sia al rito romano sia agli altri riti» (Ibid., n. 3).

Perciò si sono proposti questi criteri ispiratori:

1) Devono essere conservati quegli elementi della tradizione ambrosiana che non contrastano coi documenti del Concilio Vaticano II e con le necessità pastorali del nostro tempo: anzi devono ancor più essere resi manifesti quegli elementi che arrecano nutrimento alla fede e alla pietà, favoriscono la catechesi dei sacramenti, illustrano la storia della salvezza e accrescono sia l'amore della santa Chiesa sia lo zelo apostolico.

2) «I riti splendono per nobile semplicità; siano chiari nella loro brevità ed evitino inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (SC n. 34).

3) «Scopo dell'Ufficio è la santificazione del giorno: perciò l'ordinamento tradizionale dell'Ufficio sia riveduto in modo che le diverse Ore, per quanto è possibile, corrispondano al loro vero tempo, tenendo presenti però anche le condizioni della vita contemporanea in cui si trovano specialmente coloro che attendono alle opere di apostolato» (SC n. 88).

4) La Liturgia delle Ore, proprio perché è la preghiera pubblica e comune del popolo di Dio, deve inoltre essere riformata in modo tale che siano invogliati a celebrarla nell'assemblea ecclesiastica e anche da soli, non soltanto i membri degli Istituti i perfezione, ma anche i fedeli  (SC n. 98-100).

5) I Vespri come preghiera della sera, e le Lodi come preghiera del mattino, secondo la venerabile tradizione di tutta la Chiesa (e a testimonianza di ciò brilla S. Ambrogio, celebre autore di Inni per le Lodi e per i Vespri), sono il duplice cardine dell'Ufficio Ambrosiano; per questo motivo sono le Ore principali e come tali dovranno essere celebrate (cfr. SC n. 89 a).

6) Quella parte della preghiera mattutina che precede le Lodi propriamente dette, nella recitazione in coro conservi l'indole della preghiera notturna; tuttavia sia «adattata in modo da poter essere recitata in qualsiasi ora del giorno, e abbia un minor numero di salmi e letture più lunghe» (cfr. SC n. 89 c).

7) L'ora di Prima viene soppressa. Nel coro e da parte di coloro cui spettava a norma di diritto, sono conservate le ore di Terza, Sesta e Nona. Agli altri è invece permesso scegliere una delle tre, quella cioè che meglio corrisponde al momento della giornata (cfr. SC n. 89 d-e).

8) Perché realmente sia possibile celebrare la Liturgia delle Ore, aggiornata secondo le norme di cui sopra, il Salterio sarà distribuito non più per decurie e nel periodo di due settimane, «ma per uno spazio di tempo più lungo» (cfr. SC n. 91).
Conservando il criterio proprio del Rito Ambrosiano di scegliere i salmi e i cantici per il Mattutino delle domeniche, delle solennità, dei sabati, delle ferie prenatalizie, del Tempo natalizio, della Settimana santa, nulla impedisce che, per il Mattutino degli altri giorni, i salmi siano scelti come canta la Chiesa Romana; il medesimo criterio sarà osservato nei giorni comuni per le Ore minori e per i Vespri, poiché in queste parti l'uso ambrosiano già si conformava al modello vigente a Roma prima della riforma di Pio X.

9) Riguardo alle letture si seguano le seguenti norme:
a) al Mattutino o Ufficio delle letture, si facciano due letture: la prima biblica e la seconda tratta dalle opere dei Padri o dagli Scrittori ecclesiastici, oppure dalla agiografia (Cfr. più avanti, n. 66).
b) «La lettura della sacra Scrittura sia ordinata in modo da rendere più facilmente accessibili e in maggior ampiezza i tesori della parola divina» (SC n. 92 a).
c) Le letture tratte dalle opere dei Padri, dei Dottori e Scrittori ecclesiastici (SC n. 92 b) siano scelte in modo tale che risulti ampiamente il tesoro della tradizione della Chiesa Milanese, valorizzando anche le opere dei santi Padri che onorarono le Chiese vicine, come quelle di Brescia, Verona, Vercelli, Torino, Aquileia.
d) «Le "Passioni", ossia le vite dei Santi, siano riportate alla verità storica» (SC n. 92 c).

10) Poiché la Sede apostolica (S. Congr. per il Culto Divino, Notificazione 14 giugno 1971, n. 4 c) ha concesso a tutti di recitare l'Ufficio nella lingua parlata, tanto in coro quanto in comune o da soli, i testi del nostro Ufficio Ambrosiano siano rivisti in modo tale da essere adatti sia per la recita in lingua latina sia per quella in lingua italiana.

11) Con il permesso del Romano Pontefice (S. Congr. per i Sacramenti e il Culto Divino, Prot. n. CD 989/76), nel nuovo Ufficio è stata conservata la versione latina ambrosiana dei salmi, perché concorda con l'antifonale; inoltre essa non crea alcuna difficoltà dal momento che nella celebrazione pubblica si usa per lo più la lingua italiana.

 

 

CAPITOLO I

IMPORTANZA
DELLA LITURGIA DELLE ORE
O UFFICIO DIVINO
NELLA VITA DELLA CHIESA

 

1. La preghiera pubblica o comune del popolo di Dio è giustamente ritenuta tra i principali compiti della Chiesa. Per questo sin dall'inizio i battezzati «erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Più volte gli Atti degli Apostoli attestano la preghiera unanime della comunità cristiana (cfr. At 1,14; 4,24; 12,5.12; cfr. Es 5,19-21).
le testimonianze della Chiesa primitiva attestano che anche i singoli fedeli, in ore determinate, attendevano alla preghiera.
In seguito, in varie regioni, si diffuse la consuetudine di destinare tempi particolari alla preghiera comune, come, per esempio, l'ultima ora del giorno, quando si fa sera e si accende la lucerna, oppure la prima ora, quando la notte, al sorgere del sole, volge al termine.
Con l'andare del tempo si cominciò a santificare con la preghiera comune anche altre ore, che i Padre vedevano adombrate negli Atti degli Apostoli. In questo libro, infatti, si parla dei discepoli radunati all'ora di terza (2,1-15).
Il Principe degli apostoli «salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare» (10,9); «Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio» (3,1); «verso mezzanotte, Paolo e Sila in preghiera cantavano inni a Dio» (16,25).

2. Queste preghiere fatte in comune, a poco a poco, furono ordinate in modo da formare un ciclo ben definito di Ore: la Liturgia delle Ore o Ufficio divino.
Essa, arricchita anche di letture, è principalmente preghiera di lode e di supplica, e precisamente preghiera della Chiesa con Cristo e a Cristo.

 

I   PREGHIERA DI CRISTO

Cristo prega il Padre

3. Venendo per rendere gli uomini partecipi della vita di Dio, il Verbo, che procede dal Padre come splendore della sua gloria, «il Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza, Cristo Gesù, prendendo la natura umana, ha introdotto in questa terra d'esilio quell'inno che viene eternamente cantato nelle sedi celesti» (SC n. 83).
Da allora, nel cuore di Cristo, la lode di Dio risuona con parole umane di adorazione, propiziazione ed intercessione. Tutte queste preghiere, il Capo della nuova umanità e Mediatore tra Dio e gli uomini, le presenta al Padre a nome e per il bene di tutti.

4. Lo stesso Figlio di Dio, «che con il Padre suo è una cosa sola» (cfr. Gv 10,30), e che entrando nel mondo disse: «Ecco, o Dio, io vengo a fare la tua volontà» (Eb 10,9; cfr. Sal 39,8-9; Gv 6,38), ha voluto anche lasciarci testimonianza della sua preghiera. Spessissimo, infatti, i vangeli ce lo presentano in preghiera: quando viene rivelata dal Padre la sua missione (Lc 3,21-22), antecedentemente alla chiamata degli apostoli (Lc 6,12), quando rende grazie a Dio nella moltiplicazione dei pani (Mt 14,19; 15,36; Mc 6,41; 8,7; Lc 9,16; Gv 6,11), nella trasfigurazione sul monte (Lc 9,28-29), quando risana il sordomuto (Mc 7,34) e risuscita Lazzaro (Gv 11,41 ss.), prima di provocare la confessione di Pietro (Lc 9,18), quando insegna ai discepoli a pregare (Lc 11,1), quando i discepoli ritornano dall'aver compiuto la loro missione (Mt 11,25 ss.; Lc 10,21 ss.), quando benedice i fanciulli (Mt 19,13) e prega per Pietro (Lc 22,32).
La sua attività quotidiana era strettamente congiunta con la preghiera, anzi quasi derivata da essa. Così quando si ritirava nel deserto o sul monte a pregare (Mc 1,35; 6,46; Lc 5,16; cfr. Mt 4,1 par.; Mt 14,23), alzandosi al mattino presto (Mc 1,35), o quando, dalla sera alla quarta veglia (Mt 14,23.25; Mc 6,46.48), passava la nottata intera in orazione a Dio (Lc 6,12).
Egli, come giustamente si pensa, partecipò anche alle preghiere pubbliche, quali erano quelle che si facevano nelle sinagoghe dove entrò nel giorno di sabato «secondo il suo solito» (Lc 4,16), e nel tempio che chiamò casa di preghiera (Mt 21,13 par.). Non tralasciò quelle private, che si recitavano abitualmente ogni giorno dai pii israeliti.
Pronunziava anche le tradizionali preghiere di benedizione a Dio, proprie delle riunioni conviviali, come è espressamente riferito in relazione con la moltiplicazione dei pani (Mt 14,19 par.; Mt 15,36 par.) e poi nella sua Ultima Cena (Mt 26,26 par.), nel villaggio di Emmaus (Lc 24,30), ugualmente quando con i suoi discepoli recitò l'inno del cenacolo (Mt 26,30 par.).
Fino al termine della sua vita, avvicinandosi già la Passione (Gv 12,27 ss.), nell'ultima Cena (Gv 17,1-26), nell'agonia (Mt 26,36-44 par.) e sulla croce (Lc 23,34.46; Mt 27,46; Mc 15,34), il Maestro divino dimostrò che la preghiera animava il suo ministero messianico e il suo esodo pasquale.
Egli, infatti, «nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà» (Eb 5,7) e, compiuta l'oblazione di sé sull'altare della croce, rese «perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10,14); infine, risuscitato da morte, vive per sempre e prega per noi (Cfr. Eb 7,25).
A questo proposito, così medita S. Ambrogio: «Il Signore prega, non per implorare per sé, ma per implorare per me; sebbene infatti il Padre abbia dato tutte le cose in potere del Figlio, il Figlio tuttavia, per dare pienezza alla sua condizione di uomo, giudica opportuno supplicare il Padre per noi, perché egli è il nostro avvocato» (In Lucam, V, 42).

 

II   PREGHIERA DELLA CHIESA

Il precetto della preghiera

5. Gesù ha ordinato anche a noi di fare ciò che egli stesso fece. «Pregate», disse spesso, «domandate», «chiedete» (Mt 5,44; 7,7; 26,41; Mc 13,33; 14,38; Lc 6,28; 10,2; 11,9; 22,40.46), «nel mio nome» (Gv 14,13 ss.; 15,16; 16,23 s. 26); insegnò anche la maniera di pregare nell'orazione che si chiama domenicale (Mt 6,9-13; Lc 11,2-4) e dichiarò necessaria la preghiera (Lc 18,1), e precisamente quella umile (Lc 18,9-14), vigilante (Lc 21,36; Mc 13,33), perseverante, fiduciosa nella bontà del Padre(Lc 11,5-13; 18,1-8; Gv 14,13; 16,23), pura nell'intenzione e rispondente alla natura di Dio (Mt 6,5-8; 23,14; Lc 20,47; Gv 4,23).
A loro volta gli apostoli, che qua e là nelle lettere ci tramandano preghiere, specialmente di lode e di rendimento di grazie, ci raccomandano anch'essi la perseveranza e l'assiduità (Rm 8,15.26; 1Cor 12,3; Gal 4,6; Gd 20) della preghiera nello Spirito santo (2Cor 1,20; Col 3,17), rivolta a Dio (Eb 13,15), per mezzo di Cristo (Rm 12,12; 1Cor 7,5; Ef 6,18; Col 4,2; 1Ts 5,17; 1Tm 5,5; 1Pt 4,7).
Ci parlano della sua grande efficacia per la santificazione (1Tm 4,5; Gc 5,15 s.; 1Gv 3,22; 5,14 s.) e non mancano di ricordare la preghiera di lode (Ef 5,19 s.; Eb 13,15; Ap 19,5), di ringraziamento (Col 3,17; Fil 4,6; 1Ts 5,17; 1Tm 2,1), di domanda (Rm 8,26; Fil 4,6), e di intercessione per tutti (Rm 15,30; 1Tm 2,1 s.; Ef 6,18; 1Ts 5,25; Gc 5,14.16).

 

La Chiesa
continua la preghiera di Cristo

6. Poiché l'uomo viene interamente da Dio, deve riconoscere e professare questa sovranità del suo Creatore. È quanto gli uomini di sentimenti religiosi, vissuti in ogni tempo, hanno effettivamente fatto con la preghiera.
La preghiera diretta a Dio però deve essere connessa con Cristo, Signore di tutti gli uomini, unico Mediatore (1Tm 2,5; Eb 8,6; 9,15; 12,24), e il solo per il quale abbiamo accesso a Dio (Rm 5,2; Ef 2,18; 3,12). Cristo, infatti, unisce a sé tutta l'umanità (cfr. Sacrosanctum Concilium 83), in modo tale da stabilire un rapporto intimo fra la sua preghiera e la preghiera di tutto il genere umano.
In Cristo, appunto, ed in lui solo. la religione umana consegue il suo valore salvifico e il suo fine.

7. Tuttavia un vincolo speciale e strettissimo intercorre tra Cristo e quegli uomini che egli per mezzo del sacramento della rigenerazione unisce a sé come membra del suo Corpo, che è la Chiesa. Così effettivamente dal Capo si diffondono all'intero Corpo tutti i beni che sono del Figlio; cioè la comunicazione dello Spirito, la verità, la vita e la partecipazione alla sua filiazione divina, che si manifestava in ogni sua preghiera quando dimorava presso di noi.
Anche il sacerdozio di Cristo è condiviso da tutto il corpo della Chiesa, così che i battezzati mediante la rigenerazione e l'unzione dello Spirito santo vengono consacrati in edificio spirituale e sacerdozio santo (cfr. Lumen gentium, n. 10) e sono abilitati a esercitare il culto del Nuovo Testamento, culto che non deriva dalle nostre forze, ma dal merito e dal dono di Cristo.
«Nessun dono maggiore Dio potrebbe fare agli uomini che costituire loro capo il suo Verbo, per mezzo del quale ha creato tutte le cose, e a lui unirli come membra, così che egli fosse Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, un solo Dio con il Padre, un solo uomo con gli uomini, Così, quando pregando parliamo con Dio, non per questo separiamo il Figlio dal Padre, e quando il Corpo del Figlio prega non separa da sé il proprio Capo, ma è lui stesso unico salvatore del suo Corpo, il Signore nostro Gesù Cristo Figlio di Dio, che prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in lui le nostre voci e le sue voci in noi» (Sant'Agostino, Enarrat in psalm, 85,1).
In questo dunque sta la dignità della preghiera cristiana, che essa partecipa dell'amore del Figlio Unigenito per il Padre e di quell'orazione, che egli durante la sua vita terrena ha espresso con le sue parole e che ora, a nome e per la salvezza di tutto il genere umano, continua incessantemente in tutta la Chiesa e in tutti i suoi membri.

 

L'azione dello Spirito santo

8. L'unità della Chiesa orante è opera dello Spirito santo, che è lo stesso in Cristo (Cfr. Lc 10,21 quando Gesù «esultò nello Spirito santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre", ecc...»), in tutta la Chiesa e nei singoli battezzati.
Lo stesso «Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» e «intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26); egli stesso, in quanto Spirito del Figlio, infonde in noi «lo spirito da figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!» (Rm 8,15; cfr. Gal 4,6; 1Cor 12,3; Ef 5,18; Gd 20).
Non vi può essere dunque nessuna preghiera cristiana senza l'azione dello Spirito santo, che, unificando tutta la Chiesa, per mezzo del Figlio la conduce al Padre.

 

Carattere comunitario della preghiera

9. L'esempio e il comando del Signore e degli apostoli di pregare sempre e assiduamente non si devono considerare come una norma puramente giuridica, ma appartengono alla intima essenza della Chiesa medesima, che è comunità e deve quindi manifestare il suo carattere comunitario anche nella preghiera. Per questo negli Atti degli Apostoli, quando per la prima volta si fa parola della comunità dei fedeli, questa appare riunita in preghiera «con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (At 1,14). «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola» (At 4,32): questa unanimità si fondava sulla parola di Dio, sulla comunione fraterna, sulla preghiera e sulla Eucaristia (cfr. At 2,42 gr.).
Sebbene la preghiera fatta nella propria stanza e a porte chiuse (cfr. Mt 6,6) sia sempre necessaria e da raccomandarsi (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 12), e venga anch'essa compiuta dai membri della Chiesa per Cristo nello Spirito santo, tuttavia all'orazione della comunità compete una dignità speciale, perché Cristo stesso ha detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).

 

III   LA LITURGIA DELLE ORE

Consacrazione del tempo

10. Cristo ha comandato: «Bisogna pregare sempre senza stancarsi» (Lc 18,1). Perciò la Chiesa, obbedendo fedelmente a questo comando, non cessa mai d'innalzare preghiere e ci esorta con queste parole: «Per mezzo di lui [Gesù] offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio» (Eb 13,15). A questo precetto la Chiesa ottempera non soltanto celebrando l'Eucaristia, ma anche in altri modi, e specialmente con la Liturgia delle Ore, la quale, tra le altre azioni liturgiche, ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di santificare tutto il corso del giorno e della notte (cfr. Sacrosanctum Concilium nn. 83-84),

11. Poiché, dunque, la santificazione del giorno e di tutta l'attività umana rientra nelle finalità della Liturgia delle Ore, il suo ordinamento è stato rinnovato in modo da far corrispondere, per quanto era possibile, la celebrazione delle Ore al loro vero tempo, sempre tenendo conto, però, delle condizioni della vita odierna (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 88),
Perciò «sia per santificare veramente il giorno sia per recitare con frutto spirituale le stesse Ore, conviene che nella recita delle Ore si osservi il tempo, che corrisponde più da vicino al tempo vero di ciascuna ora canonica»  (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 94; cfr, sotto nn. 37. 49. 78. 85),

 

Rapporto tra Liturgia elle Ore
ed Eucaristia

12. La Liturgia delle Ore estende (Presbyterorum ordinis, n. 5) alle diverse ore del giorno le prerogative del mistero eucaristico, «centro e culmine di tutta la vita della comunità cristiana» (cfr. Christus Dominus, n. 30): la lore e il rendimento di grazie, la memoria dei misteri della salvezza, le suppliche e la pregustazione della gloria celeste.
La celebrazione dell'Eucaristia viene anche preparata ottimamente mediante la Liturgia delle Ore, in quanto per suo mezzo vengono suscitate e accresciute le disposizioni necessarie alla fruttuosa celebrazione dell'Eucaristia, quali sono la fede, la speranza, la carità, la devozione e il desiderio dell'abnegazione di sé (cfr. sotto nn. 94-100).

 

Esercizio dell'ufficio sacerdotale di Cristo
nella Liturgia delle Ore

13. Cristo compie «l'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio» (Sacrosanctum Concilium n. 5) nello Spirito santo per mezzo della sua Chiesa non soltanto quando si celebra l'Eucaristia e si amministrano i sacramenti, ma anche, a preferenza di altri modi, quando si celebra la Liturgia delle Ore (cfr, ibid., nn. 83 e 98), In essa egli stesso è presente quando si raduna l'assemblea, quando si proclama la parola di Dio, «quando la Chiesa prega e loda» (ibid., n. 7).

 

Santificazione dell'uomo

14. Nella Liturgia delle Ore si compie la santificazione dell'uomo (cfr, ibid., n. 10) e si esercita il culto divino in modo da realizzare in essa quasi quello scambio o dialogo fra Dio e gli uomini nel quale «Dio parola al suo popolo... il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera» (cfr, ibid., n. 33).
Senza dubbio i partecipamenti possono ottenere dalla Liturgia delle Ore una santificazione larghissima per mezzo della parola salvifica di Dio che ha grande importanza in essa. Dalla sacra Scrittura si scelgono, infatti, le letture. Da essa viene la parola divina dei salmi che si cantano davanti a Dio. Di afflato e ispirazione biblica sono permeate le altre preci, orazioni e canti (cfr, ibid., n. 24).
Non solo dunque quando si legge tutto ciò che è «stato scritto per nostra istruzione» (Rm 15,4), ma anche quando la Chiesa prega o canta, si alimenta la fede dei partecipanti, le menti sono sollevate verso Dio per rendergli un ossequio ragionevole e ricevere con più abbondanza la sua grazia (cfr, ibid., n. 33).

 

Lode offerta a Dio
in unione con la Chiesa celeste

15. Nella Liturgia delle Ore la Chiesa, esercitando l'ufficio sacerdotale del suo Capo, offre a Dio «incessantemente» (1Ts 5,17), il sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome (cfr. Eb 13,15). Questa preghiera è «la voce della stessa Sposa che parla allo Sposo, anzi è la preghiera che Cristo, unito al suo Corpo, eleva al Padre» (Sacrosanctum Concilium n. 84).
«Tutti coloro, pertanto, che compiono questa preghiera, adempiono da una parte l'obbligo proprio della Chiesa e dall'altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, celebrando la lode di Dio, stanno dinanzi al trono di Dio in nome della Madre Chiesa» (Sacrosanctum Concilium n. 85).

16. La Chiesa, dando lode a Dio nelle Ore, si associa a quel carme di lode che viene eternamente cantato nelle sedi celesti (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 83); pregusta, nel medesimo tempo, quella lode celeste descritta da Giovanni nell'Apocalisse, lode che ininterrottamente risuona davanti al trono di Dio e dell'Agnello.
La stretta unione di noi con la Chiesa celeste si realizza quando «in comune esultanza celebriamo la lode della maestà divina, e tutti, di ogni tribù e lingua, di ogni popolo e nazione, riscattati con il sangue di Cristo (cfr. Ap 5, 9) e radunati in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifichiamo Dio uno e trino» (Lumen gentium, n. 50; cfr. Sacrosanctum Concilium nn. 8 e 104). I profeti quasi previdero questa liturgia celeste nella vittoria del giorno senza notte, della luce senza tenebre: «Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna» (Is 60,19; cfr. Ap 21,23.25). «Sarà un unico giorno. Il Signore lo conosce. Non ci sarà né giorno né notte. Verso sera risplenderà la luce» (Zc 14,7). Già veramente per noi «è arrivata la fine dei tempi (cfr. 1Cor 10,11), e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo» (Lumen gentium, n. 48). Così, per mezzo della fede, noi siamo anche ammaestrati sul significato della nostra vita temporale, per attendere insieme con tutte le creature la rivelazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8,19).
Nella Liturgia delle Ore noi proclamiamo questa fede, esprimiamo e alimentiamo questa speranza, partecipiamo in qualche modo al gaudio della lode perenne e del giorno che non conosce tramonto.

 

Supplica e intercessione

17. Ma, oltre alla lode di Dio, la Chiesa nella Liturgia esprime i voti e i desideri di tutti i cristiani, anzi supplica Cristo, e, per mezzo di lui, il Padre per la salvezza di tutto il mondo (Sacrosanctum Concilium n. 83). Questa voce non è soltanto della Chiesa, ma anche di Cristo, poiché le preghiere vengono fatte a nome di Cristo, cioè «per Gesù Cristo... nostro Signore», e così la Chiesa continua a fare quelle preghiere e suppliche che Cristo offrì nei giorni della sua vita terrena (cfr. Eb 5,7), e che perciò godono di una efficacia particolare.
E così, non solo con la carità, con l'esempio e con le opere di penitenza, ma anche con l'orazione la comunità ecclesiale esercita la sua funzione materna di portare le anime a Cristo (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 6).
Questo compito spetta particolarmente a coloro che per un mandato speciale sono chiamati a celebrare la Liturgia delle Ore: cioè ai vescovi e ai sacerdoti, che in forza del loro ufficio pregano per il loro popolo e per tutto il popolo di Dio (cfr. Lumen gentium, n. 41), e agli altri ministri sacri, come pure ai religiosi (cfr. sotto n. 24).

 

Culmine e fonte dell'azione pastorale

18. Coloro che partecipano alla Liturgia delle Ore danno incremento al popolo di Dio (cfr. Perfectae caritatis, n. 7) in virtù di una misteriosa fecondità apostolica; il lavoro apostolico, infatti, è ordinato «a che tutti, diventati figli di Dio, mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, partecipino al sacrificio e mangino la cena del Signore» (Sacrosanctum Concilium 10).
Vivendo in tal modo i fedeli esprimono e manifestano agli altri «il mistero di Cristo e la genuina natura della Chiesa, che ha la caratteristica di essere... visibile, ma dotata di realtà invisibili, ardente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina» (Sacrosanctum Concilium n. 2).
A loro volta, le letture e le preghiere della Liturgia delle Ore costituiscono una genuina fonte di vita cristiana. Tale vita si nutre alla mensa della sacra Scrittura e con le parole dei Santi, ma è rinvigorita dalla preghiera. Solo il Signore, infatti, senza il quale non possiamo far nulla (cfr. Gv 15,5), da noi pregato, può dare efficacia e sviluppo alle nostre opere (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 86), così che ogni giorno veniamo edificati per diventare tempio di Dio, per mezzo dello Spirito (cfr. Ef 2,21-22), fino alla misura che conviene alla piena maturità di Cristo (cfr. Ef 4,13), e nello stesso tempo irrobustiamo le nostre forze per evangelizzare il Cristo a coloro che sono fuori (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 2).

 

La mente concordi con la voce

19. Perché questa preghiera sia propria di ciascuno di coloro che vi prendono parte e sia parimenti fonte di pietà e di molteplice grazia divina, e nutrimento dell'orazione personale e dell'azione apostolica, è necessario che la mente stessa si trovi in accordo con la voce (Sacrosanctum Concilium n. 90; San Benedetto, Regula, c. 19) mediante una celebrazione degna, attenta e fervorosa.
Tutti cooperino diligentemente con la grazia divina per non riceverla invano. Cercando Cristo, e penetrando sempre più intimamente con l'orazione nel suo mistero (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 14; Optatam totius, n. 8), lodino Dio e innalzino suppliche con quel medesimo animo con il quale pregava lo stesso divino Redentore (cfr. sotto nr. 23).

 

IV   COLORO CHE CELEBRANO
LA LITURGIA DELLE ORE

a) Celebrazione in comune

20. La Liturgia delle Ore, come tutte le altre azioni liturgiche, non è un'azione privata, ma appartiene a tutto il Corpo della Chiesa, lo manifesta e influisce in esso (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 26).
La sua celebrazione ecclesiale è posta nella sua più piena luce – e per questo è sommamente consigliata – quando la Chiesa Milanese la compie con il proprio Arcivescovo, circondato dai presbiteri e dai ministri (Sacrosanctum Concilium n. 41); in essa – come in tutte le altre Chiese particolari – «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica» (Christus Dominus, n. 11).
Questa celebrazione, anche quando, in assenza dell'Arcivescovo, è fatta dal Capitolo dei canonici della chiesa metropolitana o da altri sacerdoti, si svolga sempre rispettando la corrispondenza delle Ore al loro vero tempo e, per quanto è possibile, con la partecipazione del popolo. La medesima cosa si dica dei Capitoli collegiali.

21. Dovunque legittimamente è in vigore il Rito Ambrosiano, la Liturgia delle Ore sia da tutti celebrata secondo l'ordine descritto dalla presente Istituzione e secondo il testo promulgato dall'Arcivescovo di Milano e confermato dalla Sede Apostolica.

22. Le altre assemblee dei fedeli curino anch'esse, e possibilmente in chiesa, la celebrazione comunitaria delle Ore principali. Fra queste assemblee hanno un posto preminente le parrocchie, vere cellule della diocesi, organizzate localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del Vescovo. Esse «rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra» (Sacrosanctum Concilium n. 42; cfr. Apostolicam actuositatem, n. 10).

23. Se dunque i fedeli vengono convocati per la Liturgia delle Ore e si radunano insieme, unendo i loro cuori e le loro voci, manifestano la Chiesa che celebra il mistero di Cristo (cfr. Sacrosanctum Concilium nn. 26 e 84). «E vi è questa armonia quando nella Chiesa in una fusione unanime delle età e delle virtù più diverse, come di differenti corde musicali, risuona il salmo, si risponde e si dice Amen» (Sant'Ambrogio, In Lucam, VII, 238).

24. È compito di coloro che sono insigniti dell'ordine sacro o che hanno ricevuto una particolare missione canonica (cfr. Ad gentes, n. 17) indire e dirigere la preghiera nella comunità: «pongano ogni loro impegno perché tutti quelli che sono affidati alle loro cure siano concordi nella preghiera» (cfr. Christus Dominus, n. 15).
Curino pertanto che i fedeli siano invitati e siano istruiti con opportuna catechesi a celebrare in comune, specialmente nei giorni di domenica e di festa, le parti principali della Liturgia delle Ore (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 100). Insegnino loro ad attingere da questa partecipazione un autentico spirito di preghiera (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 5), e perciò con una idonea formazione li guidino a comprendere i salmi in senso cristiano, in modo da condurli a poco a poco a gustare e a praticare sempre più la preghiera della Chiesa (cfr. sotto nn. 100-109; circa i vari uffici da compiere nella Liturgia delle Ore, cfr. sotto nn- 249-262).

25. Le comunità dei canonici, dei monaci, delle monache e degli altri religiosi che, in forza della loro Regola o delle loro Costituzioni, celebrano, con il rito comune o con un rito particolare, integralmente o parzialmente, la Liturgia delle Ore, rappresentano in modo speciale la Chiesa orante: esse esprimono, infatti, più pienamente il modello della Chiesa che senza interruzione e con voce concorde loda Dio, e assolvono il compito di «collaborare» innanzitutto con la preghiera, «all'edificazione e all'incremento di tutto il Corpo mistico di Cristo e al bene delle Chiese particolari» (Christus Dominus, n. 33; cfr. Perfectae caritatis, nn. 6. 7. 15; cfr. Ad gentes, n. 15).
Questo va detto soprattutto per coloro che fanno vita contemplativa.

26. I sacri ministri e tutti i chierici, che non sono per altro titolo obbligati alla celebrazione comune, se convivono o si riuniscono insieme, procurino di celebrare in comune almeno qualche parte della Liturgia delle Ore, specialmente le Lodi al mattino e alla sera i Vespri (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 99).

27. Anche ai religiosi dei due sessi che non sono obbligati alla celebrazione comune, e ai membri di qualsiasi istituto di perfezione si raccomanda vivamente di riunirsi fra loro o con il popolo, per celebrare la Liturgia delle Ore, tutta o in parte, secondo il rito della santa Chiesa Milanese, della quale sono figli onorati e carissimi.

28. Anche i laici riuniti in convegno, sono invitati ad assolvere la missione della Chiesa (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 100), celebrando qualche parte della Liturgia delle Ore, qualunque sia il motivo per cui si radunano o quello della preghiera o dell'apostolato o altro.
È necessario, infatti, che imparino ad adorare Dio Padre in spirito e verità (cfr. Gv 4,23) anzitutto nell'azione liturgica, e si ricordino che mediante il culto pubblico e la preghiera raggiungono tutti gli uomini e possono contribuire non poco alla salvezza di tutto il mondo (cfr. Gravissimus educationis, n. 2; Apostolicam actuositatem, n. 16).
È cosa lodevole, infine, che la famiglia, santuario domestico della Chiesa, oltre alle comuni preghiere celebri anche, secondo l'opportunità, qualche parte della Liturgia delle Ore, inserendosi così più intimamente nella Chiesa (cfr. Apostolicam actuositatem, n. 11).

b) Il mandato di celebrare
    la Liturgia delle Ore

29. La Liturgia delle Ore è affidata in modo particolare ai ministri sacri. Per questo incombe loro l'obbligo personale di celebrarla, anche se assente il popolo, sua pure con i necessari adattamenti.
La Chiesa, infatti, li deputa alla Liturgia delle Ore perché il compito di tutta la comunità sia adempiuto in modo sicuro e costante almeno per mezzo loro e la preghiera di Cristo continui incessantemente nella Chiesa (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 13).
Il Vescovo rappresenta Cristo in forma eminente e visibile. È il grande sacerdote del suo gregge. Da lui deriva e dipende, in certo modo, la vita dei suoi fedeli in Cristo (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 41: Lumen gentium, n. 21).
Fra i membri della sua Chiesa, il Vescovo deve essere il primo nella preghiera. Quando poi egli celebra la Liturgia delle Ore, lo fa sempre a nome e beneficio della Chiesa, che gli è affidata (cfr. Lumen gentium, n. 26; Christus Dominus, n. 15).
I sacerdoti, uniti al Vescovo e a tutto il presbiterio, rappresentano anch'essi in grado speciale la persona di Cristo sacerdote (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 13), partecipano al medesimo compito, pregando Dio per tutto il popolo loro affidato, anzi per tutto il mondo (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 5). Tutti costoro compiono il ministero del buon Pastore che prega per i suoi perché abbiano la vita e perciò siano perfetti nell'unità (cfr. Gv 10,11; 17,20.23).
Nella Liturgia delle Ore, proposta loro dalla Chiesa, non solo trovino la fonte della pietà e il nutrimento dell'orazione personale (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 90), ma anche quell'abbondanza di contemplazione da cui attingere alimento e stimolo per l'azione pastorale e missionaria a conforto di tutta la Chiesa di Dio (cfr. Lumen gentium, n. 41).

30. I vescovi, dunque, i sacerdoti e gli altri ministri sacri, che hanno ricevuto dalla Chiesa il mandato (cfr. n. 17) di celebrare la Liturgia delle Ore, osservando, per quanto è possibile, il loro vero tempo. Diano prima di tutto la dovuta importanza alle Ore che sono come il cardine della Liturgia oraria, cioè alle Lodi mattutine e ai Vespri. Non tralascino mai queste Ore se non per un motivo grave. Celebrino anche fedelmente l'Ufficio delle letture, che è in gran parte celebrazione liturgica della parola di Dio; e in tal modo adempiranno ogni giorno il loro compito particolare di accogliere in sé la parola di Dio, per diventare discepoli più perfetti del Signore e gustare più profondamente le insondabili ricchezze di Cristo (cfr. Dei Verbum, n. 25; Presbyterorum ordinis, n. 13).
Per santificare meglio l'intero giorno, abbiano inoltre a cuore la recita dell'Ora durante la giornata e di Compieta, con la quale, prima del riposo notturno, portano a compimento l'«Opus Dei» e si raccomandano a Dio.

31. È sommamente conveniente che i diaconi permanenti recitino ogni giorno almeno qualche parte della Liturgia delle Ore, da determinarsi dalla Conferenza Episcopale Italiana (Sacrum Diaconatus ordinem, n. 27).

32. a) I Capitoli cattedrali e collegiali devono celebrare in coro quelle parti della Liturgia delle Ore che sono loro prescritte dal diritto comune o particolare.
I singoli membri di questi Capitoli, oltre alle Ore che tutti i ministri sacri sono tenuti a recitare, devono recitare da soli quelle ore che si celebrano nel loro Capitolo (cfr. Inter Ecumenici, n. 78 b).
b) Le comunità religiose obbligate alla Liturgia delle Ore e i loro singoli membri, celebrino le Ore a norma del loro diritto particolare, salvo quanto è prescritto al n. 30 per coloro che hanno ricevuto l'ordine sacro.

33. Si raccomanda a tutte le altre comunità religiose e ai singoli membri di celebrare, secondo le circostanze in cui si trovano, alcune parti della Liturgia delle Ore: essa è preghiera della Chiesa e fa di tutti, dovunque dispersi, un cuore solo e un'anima sola (cfr. At 4,32).
La stessa esortazione è rivolta anche ai laici (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 10).

c) Struttura della celebrazione

34. La Liturgia delle Ore Ambrosiana è regolata dalla propria tradizione e dalle proprie leggi. Riunisce insieme, in forma particolare, elementi che si trovano anche in altre celebrazioni.
Sia nella celebrazione in comune sia nella recita individuale, rimane la struttura essenziale di questa Liturgia: colloquio tra Dio e l'uomo. Tuttavia, la celebrazione in comune manifesta più chiaramente la natura ecclesiale della Liturgia delle Ore e favorisce la partecipazione attiva di tutti, secondo la condizione di ciascuno. Lo fa mediante le acclamazioni, il dialogo, la salmodia alternata e altri elementi congeneri. Tiene poi meglio conto delle diverse forme espressive (cfr. ibid. nn. 26. 28-30).
Perciò, tutte le volte che si rende possibile, la celebrazione comune con la frequenza e la partecipazione attiva dei fedeli è da preferirsi alla celebrazione individuale e quasi privata (cfr, ibid, n. 27).
È bene inoltre che l'Ufficio in coro e in comune, sia cantato, secondo l'opportunità, sempre rispettando la natura e la funzione delle singole parti.
Così si realizzerà la raccomandazione dell'Apostolo: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali» (Col 3,16; cfr. Ef 5,19-20) (circa il carattere comunitario della preghiera, cfr. sopra n. 9; circa le celebrazioni in comune, cfr. sopra nn. 20-28; circa i vari uffici da compiere, cfr. sotto nn. 249-262).

 

CAPITOLO II

LA SANTIFICAZIONE DEL GIORNO
OSSIA LE VARIE ORE LITURGICHE

I   VESPRI E LODI MATTUTINE IN GENERE

35. I Vespri, come preghiera della sera, e le Lodi, come preghiera del mattino, sono il duplice cardine dell'Ufficio quotidiano; perciò devono essere ritenute le Ore principali e come tali devono essere celebrate. «Quale uomo dotato di sensibilità – dice S. Ambrogio – non arrossirebbe di concludere la sua giornata senza la recita dei salmi, dal momento che anche gli uccelli piccolissimi accompagnano il sorgere del giorno e della notte con un atto di pietà abituale e con un dolce canto?» (Hexaemeron 5,12, n. 36; cfr. anche In psalm. 36, n. 65; In psalm. 118, serm. 8, n. 48; serm. 19, nn. 30. 32).

36. Si devono quindi tenere in grandissima considerazione i Vespri e le Lodi mattutine come preghiera della comunità cristiana: la loro celebrazione pubblica o comune sia incoraggiata specialmente presso coloro che fanno vita in comune. Anzi, la loro recita sia raccomandata anche ai singoli fedeli che non possono partecipare alla celebrazione comune.

 

II. VESPRI

37. I Vespri si celebrano quando «si fa sera e il giorno ormai declina» (Lc 24,29), «per rendere grazie di ciò che nel medesimo giorno ci è stato donato o con rettitudine abbiamo compiuto» (San Basilio M. , Regulae fusius tractatae, Resp. 37,3). Con l'orazione che innalziamo, «come incenso davanti al Signore», e nella quale «l'elevarsi delle nostre mani» diventa «sacrificio della sera» (cfr. Sal 140,2) ricordiamo anche la nostra redenzione.
E questo «si può intendere, con un significato più spirituale, dell'autentico sacrificio vespertino: sia di quello che il Signore e Salvatore affidò, nell'ora serale, agli apostoli durante la Cena, quando inaugurò i santi misteri della Chiesa, sia di quello stesso del giorno dopo, quando con l'elevazione delle sue mani in croce, offrì al Padre per la salvezza del mondo intero se stesso, quale sacrificio della sera, cioè come sacrificio della fine dei secoli» (Cassiano, De institutione coenob., lib. 3, c. 3).

a) Lucernario (Rito della luce)

38. Grande importanza sia spirituale che pastorale ha il Lucernario, con il quale iniziano i Vespri. In questa Ora, infatti, per orientare la nostra speranza alla luce che non conosce tramonto, «noi preghiamo e chiediamo che di nuovo venga sopra di noi la luce, e invochiamo la venuta di Cristo, che ci porterà l grazia della luce eterna» (San Cipriano, De oratione dominica, 35).
Inoltre con questo rito siamo in armonia con le Chiese orientali, che cantano: «O luce gioiosa della santa gloria dell'eterno Padre celeste, Gesù Cristo; giunti al tramonto del sole, vedendo il lume della sera, celebriamo il Padre e il Figlio e lo Spirito santo di Dio...».

39. Al Lucernario, nella celebrazione pubblica o comune presieduta dal sacerdote o dal diacono, il celebrante si rivolge al popolo con il saluto: Il Signore sia con voi; tutti rispondono: E con il tuo spirito.
Nella celebrazione privata o quando è assente il sacerdote o il diacono, il Lucernario comincia nel modo seguente: Signore, ascolta la nostra preghiera. R. E il nostro grido giunga fino a te. Poi si dice, anche nella recita privata, a modo di responsorio il Lucernario indicato secondo la qualità del giorno o del Tempo o della festività (cfr. nn. 251. 252).
Nella celebrazione pubblica è bene che esso sia accompagnato dal rito della luce e dell'incenso, come viene descritto al n. 256.
All'inizio della Veglia pasquale, il Lucernario è celebrato con maggiore solennità, così come è descritto nel Messale.

b) Inno e Salmodia

40. Quindi si dice subito l'Inno adatto. L'Inno è disposto in modo da conferire all'Ora o alla festa il proprio carattere e permettere, specialmente nella celebrazione con il popolo, un inizio più facile e più festoso (circa gli inni, cfr. sotto nn. 174-178). Nelle ferie comuni si può sempre scegliere l'Inno di S. Ambrogio Deus, Creator omnium (Il beato Agostino ricorda con ammirazione quest'inno nelle sue Confessiones (9, 12, 32).

41. Nelle Domeniche di Quaresima e del Tempo pasquale, nelle Ottave di Natale e di Pasqua, nelle ferie prenatalizie, nella Settimana santa e in alcune solennità e feste, subito dopo l'Inno si dice il Responsorio un tempo chiamato «in choro». Esso esprime il senso della celebrazione.

42. Dopo l'Inno, o, quando vi è, dopo il Responsorio, nei primi Vespri delle celebrazioni dei Santi, si dà notizia della loro vita. (cfr. sotto nn. 226. 231. 234).

43. Segue la Salmodia, la quale, a meno che a suo luogo non sia stabilito diversamente, è così strutturata:
a) nelle domeniche, nelle ferie e nelle memorie la Salmodia consta di due salmi o di due parti di un salmo più lungo, con le loro antifone, secondo le norme indicate nei nn. 122-126;
b) nelle solennità e nelle feste la Salmodia consta di un solo salmo a cui si aggiungono i due salmi 133 e 116 con un'unica antifona e con l'unica dossologia finale Gloria al Padre.
Terminata l Salmodia si recita la prima Orazione che, per le ferie ordinarie, si trova nel Salterio. Nell'Ufficio dei Santi, se manca quella propria, si trova nel Comune, quando la celebrazione è solennità o festa; nel Salterio quando è memoria (circa il modo di salmodiare, cfr. sotto nn. 122-126).

44. Poi, tranne che nei venerdì di Quaresima e nelle ferie della Settimana santa, si esegue solennemente, con la propria antifona, il Cantico evangelico della beata Vergine Maria Magnificat (cfr. n. 142). Questo Cantico, convalidato dalla tradizione secolare e popolare della Chiesa, esprime la lode e il rendimento di grazie per la redenzione e lo spirito di beatitudine evangelica. Dopo il Gloria e prima dell'antifona si ripete sempre il primo versetto del Cantico.
L'antifona è proposta secondo l'indole del giorno, del Tempo, o della festività.
Ripetuta l'antifona, si dice tre volte Kyrie eleison: poi la seconda Orazione, che per le ferie ordinarie si trova nel Salterio e per gli altri giorni nel Proprio; o, se l'Ufficio è di un Santo che non ha orazione propria, si trova nel Comune.

c) Commemorazione del Battesimo
    e Lode dei Santi

45. Dopo il Cantico evangelico e l'Orazione, si fa, tranne che nella Settimana santa, la Commemorazione del Battesimo. Invece nelle solennità e nelle feste dei Santi, al posto della Commemorazione del Battesimo, si celebra la «Lode dei Santi».

A   Commemorazione del Battesimo

Nelle domeniche, nelle feste e solennità del Signore, la Commemorazione del Battesimo si compie recitando un cantico del Nuovo Testamento con la sua antifona e orazione, come si trova nel Salterio o nel Proprio (cfr. n. 141).
Negli altri giorni, tranne che nelle solennità e feste dei Santi, la Commemorazione del Battesimo si compie recitando un Responsorio con la sua orazione, come indicato nel Salterio (cfr. n. 172).

B   Lode dei Santi

Nelle solennità e nelle feste dei Santi, si celebra la loro Lode, recitando la Sallenda che, secondo la nostra tradizione, viene ripetuta due volte con interposta la dossologia alla Trinità. Si conclude con l'orazione. Tutto come è indicato nel Proprio o nel Comune.

C   Processione al Battistero o al «ricordo» dei Santi

Nella solenne celebrazione pubblica si raccomanda la Processione al Fonte battesimale. Mentre ci si reca al battistero si può cantare un canto adatto; giunti al battistero si fa la memoria del Battesimo di cui sopra; dopo l'Orazione si torna all'altare.
Durante la celebrazione pubblica delle solennità e feste dei Santi è opportuno fare la processione al luogo dove c'è un ricordo del Santo di cui si fa memoria. Mentre si fa la processione si canta la Sallenda alla quale, nel luogo del ricordo, segue l'Orazione. Mentre si ritorna vengono cantate le Litanie dei Santi.

d) Intercessioni e Conclusione

46. Dopo la Commemorazione del Battesimo, si dicono le Intercessioni, di cui ai nn. 185-194 (cfr. n. 253).
Terminate le Intercessioni, si dice o si canta da tutti il Padre nostro (cfr. nn. 195-197).

47. Quindi, se presiede un sacerdote o un diacono, questi congeda il popolo con il saluto: Il Signore sia con voi, e la benedizione, come nella Messa, seguita dall'invito: Andiamo in pace, Nel nome di Cristo.
Altrimenti la celebrazione si conclude con: Il Signore ci benedica e ci custodisca, Amen, oppure con: La santa Trinità ci salvi e ci benedica, Amen.

48. Nei primi Vespri del Natale, dell'Epifania e della Pentecoste, nella celebrazione corale, dopo l'Inno e il Responsorio, si leggono quattro letture con i loro salmelli e le orazioni. È lodevole fare questo anche nella recita fuori dalla celebrazione corale. Quindi si canta la Messa di Vigilia fino alla Comunione inclusa, dopo la quale, omessi i salmi e le orazioni, si dice il Magnificat con la sua antifona. Dopo il Magnificat, omessa la Commemorazione battesimale, si dice l'Orazione dopo la Comunione e la conclusione come nel Messale.
Parimenti nei venerdì di Quaresima, dopo l'Inno e prima della Salmodia, nella celebrazione corale, si leggono due letture con i loro salmelli e le orazioni. È lodevole fare questo anche fuori della celebrazione corale.
Nel Giovedì santo, dopo l'Inno e il Responsorio e prima della Salmodia, si celebra la Messa come è indicato a suo luogo nel Messale.
Se in qualche luogo, secondo l'opportunità o in occasione della celebrazione della Parola di Dio, si desidera inserire nei Vespri una o più letture tratte dalla sacra Scrittura, si procede come nei venerdì di Quaresima, secondo quanto si è stabilito sopra.

 

III. LODI MATTUTINE

49. Le Lodi mattutine sono destinate e ordinate a santificare il tempo mattutino, come appare da molti dei loro elementi, poiché la Chiesa ci esorta vivamente  incominciare sempre il giorno con la lode. «Poiché dunque la così grande grazia della Chiesa e così grandi premi di devozione ci invitano, preveniamo il sorgere del sole, corriamo al suo nascere, prima che lui dica: Ecco, sono qui. Il Sole di giustizia vuole essere prevenuto e per essere prevenuto, aspetta... Di buon mattino affrettati e porta alla Chiesa le primizie di una preghiera devota; e poi, se ti chiamano gli impegni del mondo, andrai sicuro alle tue faccende» (Sant'Ambrogio, In psalm. 118, 19, 30. 32).

50. Quest'ora, che si celebra allo spuntar della nuova luce del giorno, ricorda la risurrezione del Signore Gesù, «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9) e «sole di giustizia» (Mt 4, 2), «che sorge dall'alto» (Lc 1, 78). Perciò ben si comprende la raccomandazione di san Cipriano: «Bisogna pregare al mattino, per celebrare con la preghiera mattutina la risurrezione del Signore» (De oratione dominica, 35).

51. Le Lodi mattutine incominciano con il versetto di introduzione: O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto, Gloria al Padre con il: Come era nel principio e l'Alleluia (nel Tempo di Quaresima, al posto dell'Alleluia si dice: Lode a te, Signore, re di eterna gloria).

52. Quindi, eccetto che nella Settimana santa, si esegue solennemente con la sua antifona il Cantico evangelico di Zaccaria Benedictus. Questo cantico, secondo la tradizione universale, al mattino celebra Cristo che viene per illuminare «quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte» e procurare «la redenzione del suo popolo».
L'antifona viene proposta secondo l'indole del giorno, del tempo e della festa. Ripetuta l'antifona, si dice tre volte Kyrie eleison (cfr. n. 142). Viene poi recitata, dopo l'invito a una pausa di preghiera silenziosa, la prima Orazione che, per le ferie ordinarie, si trova nel Salterio, per gli altri giorni nel Proprio o nel Comune (Sulla pausa di silenzio da premettere alla prima Orazione delle Lodi, cfr. sotto n. 199).
Nelle domeniche del Tempo Pasquale, di Avvento e di Natale, nelle Ottave di Natale e di Pasqua e in alcune solennità e feste, dopo la prima Orazione, si propone l'Antifona chiamata «ad Crucem», con la quale si onora la Croce simbolo glorioso della Pasqua di Cristo e ci si introduce solennemente alla Salmodia delle Lodi. Tale carattere solenne è reso più evidente quando si celebra anche il rito corrispondente, come viene descritto al n. 256. All'antifona segue un'orazione propria ad essa collegata.

53. Segue la Salmodia. Dapprima si recita, con la sua antifona, un cantico desunto dall'Antico Testamento; quindi i Salmi di Lode con la loro antifona (circa il modo di salmodiare, cfr. sotto nn. 122-126). Da ultimo un salmo mattutino chiamato «Salmo diretto», che, secondo l'uso, viene recitato in piedi, da tutti e non a cori alterni. Il Cantico veterotestamentario e i Salmi laudativi per le solennità e le feste si trovano nell'Ordinario, per le domeniche, le ferie e le memorie, nel Salterio; per gli altri giorni nel Proprio o nel Comune. Terminata la Salmodia si dice la seconda Orazione che, nelle ferie ordinarie e nelle memorie si trova nel Salterio, per gli altri giorni nel Proprio o nel Comune.

54. Quindi si dice l'Inno adatto. L'Inno viene scelto secondo la qualità dell'Ufficio del Tempo o della festa. Nei giorni del Tempo ordinario si può sempre scegliere l'Inno di S. Ambrogio Splendor paternæ gloriæ (è l'inno al quale con molta probabilità allude sant'Ambrogio nel Sermo contra Auxentium de basilicis traendis, n. 34. Circa gli inni, cfr. sotto n. 174-178).

55. Quindi si recitano le Acclamazioni a Cristo Signore, poiché, come dice S. Ambrogio, «se avrai preceduto questo sole prima del suo sorgere, vedrai Cristo fonte di Luce: Lui stesso per primo brilla nel profondo del tuo cuore» (Sant'Ambrogio, In psalm. 118, 19, 30).
Le Acclamazioni sono concluse dal Padre Nostro, da tutti cantato o recitato (circa la «Preghiera del Signore», cfr. sotto nn. 195-197) (cfr. nn. 252. 253).

56. Da ultimo, se presiede un sacerdote o un diacono, questi congeda il popolo con il saluto: Il Signore sia con voi e con la benedizione, come nella Messa, seguita dall'invito: Andiamo in pace, Nel nome di Cristo.
Altrimenti la celebrazione si conclude con: Il Signore ci benedica e ci esaudisca, Amen, oppure con: La santa Trinità ci salvi e ci benedica, Amen.

 

IV. L'UFFICIO DELLE LETTURE

57. L'Ufficio delle letture ha lo scopo di proporre al popolo di Dio, e specialmente a quelli che sono consacrati al Signore in modo particolare, una meditazione più sostanziosa della sacra Scrittura e le migliori pagine degli autori spirituali. Sebbene, infatti, la Messa quotidiana offra un ciclo di letture della sacra Scrittura più abbondante, quel tesoro della rivelazione e della tradizione contenuto nell'Ufficio delle letture sarà di grande profitto per lo spirito. «Questa infatti è la Scrittura divina, che ha in sé significati profondi e l'altezza degli enigmi profetici; è un mare nel quale si sono riversati numerosissimi fiumi» (Sant'Ambrogio, Ep. 2, 3), cioè, sono testi scritti da diversi autori di diverso genere. Perciò l'esplorare questo mare è cosa senza fine piacevolissima; anzi la Scrittura è un paradiso in terra, dove è possibile trovare il Signore: «Dio passeggia nel paradiso, mentre sto leggendo la divina Scrittura» (Id., Ep. 49, 3. Circa la lettura della S. Scrittura, cfr. sotto nn. 143-161).

58. Quanto si legge della sacra Scrittura deve essere accompagnato dalla preghiera, perché in tal modo si stabilisce un vero colloquio fra Dio e l'uomo. Infatti quando preghiamo parliamo a lui e quando leggiamo i divini oracoli ascoltiamo lui (Dei Verbum, n. 25, che cita Sant'Ambrogio, De officiis, I, 20, 88); per questo motivo l'Ufficio delle letture consta anche dell'Inno, del Cantico di Daniele o, quando vi è, del Responsorio, di Salmi o Cantici, dell'Orazione e di altre formule, in modo da avere un carattere di preghiera.

59. L'Ufficio delle letture, a norma della Costituzione Sacrosanctum Concilium, «pur conservando nel coro il carattere di preghiera notturna, deve essere adattato in modo che possa essere recitato in qualsiasi ora del giorno, e abbia un minor numero di salmi e letture più lunghe» (Sacrosanctum Concilium n. 89 c).

60. Coloro pertanto che in forza del loro diritto particolare devono conservare a questo Ufficio il carattere di Lode notturna, come pure coloro che lodevolmente lo desiderano, sia che lo recitino di notte, sia che lo recitino di buon mattino e prima delle Lodi mattutine, scelgano l'Inno da quella serie destinata a questo scopo.
Inoltre, per alcuni giorni, si dovrà tener presente quanto è detto per le celebrazioni vigiliari ai nn. 71-74.

61. Ferma restando la disposizione precedente, l'Ufficio delle letture si può recitare in qualsiasi ora del giorno, sempre tuttavia nel tempo che decorre dai primi Vespri (o comunque da quelli del giorno precedente) ai secondi Vespri (o comunque a quelli del giorno seguente).

62. L'Ufficio delle letture incomincia con il versetto d'introduzione: O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto, Gloria al Padre con il: Come era nel principio e l'Alleluia (nel Tempo di Quaresima invece dell'Alleluia si dice: Lode a te, Signore, re di eterna gloria).

63. Quindi si dice l'Inno. Questo, se non è proprio, si sceglie o dalla serie notturna, come è indicato sopra al n. 60, o dalla serie diurna, come richiede la corrispondenza del tempo.

64. Dopo l'Inno si dice il Cantico dei tre giovani dal Libro di Daniele (Dn 3,52-56), che è adatto ad elevare i cuori al Dio altissimo, principio della salvezza e fonte della verità eterna.
Nelle domeniche dei Tempi forti, nelle ferie prenatalizie, nella Settimana santa, nelle Ottave di Natale e di Pasqua e in alcune solennità e feste, al posto del Cantico si dice il Responsorio dopo l'Inno, per esprimere più chiaramente e con maggiore efficacia il senso della celebrazione.

65. Segue la Salmodia. Questa, per le solennità e le feste, per le ferie prenatalizie, i giorni dell'ottava di Natale e della Settimana santa, è indicata nel Proprio o nel Comune (circa il modo di salmodiare, cfr. sotto nn. 122-126). Per gli altri giorni, la Salmodia si prende dal Salterio corrente.
Nelle domeniche la Salmodia consta di tre cantici con le loro antifone; nei sabati è composta di un cantico e due salmi (o parti di salmi, se il salmo da recitare è più lungo), anch'essi con antifone proprie. Negli altri giorni, la Salmodia consta di tre salmi (o parti) con le loro proprie antifone. Dopo aver ripetuta l'antifona, al termine dell'ultimo cantico o salmo, si dice tre volte: Kyrie eleison e si aggiunge: Tu sei benedetto, Signore; Amen.

66. Terminata la Salmodia, si fanno due Letture: la prima è biblica, l'altra è tratta dalle opere dei Padri o degli scrittori ecclesiastici, oppure è agiografica.
Nella celebrazione pubblica o comune, se presiede un sacerdote o un diacono, prima di ciascuna lettura, il lettore chiede e riceve la benedizione (cfr. n. 255).

67. Normalmente si deve adottare la Lettura biblica riportata nel Proprio del Tempo, secondo le norme che verranno indicate sotto (cfr. nn. 143-158). Tuttavia nelle solennità e nelle feste la Lettura biblica si prende dal Proprio o dal Comune. Nelle feste non del Signore la Lettura biblica, se non è propria, può essere presa dalla feria corrente.

68. La seconda Lettura, normalmente, è quella riportata nel Proprio del Tempo. Tuttavia nelle celebrazioni dei Santi si usa la lettura agiografica propria, la seconda lettura nelle solennità e nelle feste è presa dal corrispondente Comune dei Santi, nelle memorie è presa dal Proprio del Tempo (cfr. nn. 162-167).

69. Alla prima Lettura segue il Responsorio. Nelle domeniche fuori dall'Avvento e della Quaresima, nelle solennità e nelle feste, nelle ottave di Natale e di Pasqua, dopo la seconda Lettura si dice l'Inno Te Deum. Quando non si dice il Te Deum, si recita lodevolmente la Laus angelorum magna (tranne che nel Tempo quaresimale).

70. L'Ufficio delle letture, a meno che non sia seguito immediatamente dalle Lodi mattutine, si conclude con l'Orazione propria del giorno (nelle ore notturne, si può sempre concludere con la Orazione Expelle) e con l'acclamazione: Bendiciamo il Signore. Rendiamo grazie a Dio.

 

V. CELEBRAZIONI VIGILIARI

71. La Veglia pasquale viene celebrata da tutta la Chiesa nel modo descritto nei rispettivi libri liturgici. «La veglia di questa notte ha un'importanza così grande – dice sant'Agostino – che da sola potrebbe appropriarsi come nome proprio, il nome comune anche alle altre veglie» (Sermo Guelferbytanus 5). Infatti «lo svolgersi di questa veglia santa tutto abbraccia il mistero della nostra salvezza; nella rapida corsa di un'unica notte si avverano preannunzi e fatti profetici di vari millenni» (Laus cerei ambrosiana).

72. Sul modello della Veglia pasquale, si introdusse nelle diverse Chiese la consuetudine di iniziare con una veglia altre solennità; tra queste si distinguono, nella nostra Chiesa Milanese: il Natale e l'Epifania del Signore, la Pentecoste, gli anniversari dei Santi Patroni e Titolari. È un uso che merita di essere conservato e promosso secondo le norme riportate sopra (cfr. n. 48). Se si ritenesse conveniente dotare di veglie altre solennità o pellegrinaggi, si osservino le norme generali proposte per le celebrazioni della parola di Dio.

73. I Padri e gli autori spirituali spessissimo hanno esortato i fedeli, specialmente coloro che fanno vita contemplativa, alla preghiera notturna, con la quale si esprime e si incita all'attesa del Signore che ritornerà: «A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!» (Mt 25,6); «Vigilate, dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati» (Mc 13,35-36). E sant'Ambrogio ci ha ammoniti perché «preveniamo il sole del mattino»: «... Previeni – dice – il sole che vedi; sorgi tu che dormi; levati dai morti affinché risplenda per te Cristo. Se tu previeni questo sole prima che esso sorga, potrai vedere Cristo che ti illumina. Egli risplende prima nel segreto del tuo cuore. Per te, che dici: Dalla notte veglia verso di te il mio spirito, farà brillare la luce del mattino nel cuore della notte, se mediterai la parola di Dio. Quando poi il giorno ti avrà trovato nella meditazione della parola di Dio e una così gradevole occupazione di pregare e di cantare i salmi avrà dilettato la tua mente, dirai di nuovo al Signore Gesù: Tu ricolmi di gioia le porte del mattino e della sera» (Sant'Ambrogio, In psalm. 118, serm. 19, n. 30; cfr. ibid., nn. 22 e 32: In psalm. 36, n. 65; De Elia et ieiunio, c. 15, n. 55).
Sono dunque degni di lode tutti coloro che conservano all'Ufficio delle letture il suo carattere notturno.

 

VI. TERZA, SESTA E NONA
O PREGHIERA DURANTE LA GIORNATA

75. Secondo una tradizione antichissima i cristiani erano soliti pregare per devozione privata in diversi momenti nel corso della giornata, anche durante il lavoro, per imitare la Chiesa apostolica. Questa tradizione si è espressa in modi diversi e, con l'andare del tempo, si è concretata in celebrazioni liturgiche.

76. L'uso liturgico, tanto nell'Oriente che nell'Occidente, ha conservato Terza, Sesta e Nona, specialmente perché a queste Ore si collegava il ricordo degli eventi della Passione del Signore e della prima propagazione del Vangelo.

77. Il Concilio Vaticano II ha stabilito di mantenere per il coro le Ore minori di Terza, Sesta e Nona (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 89 c).
L'uso liturgico di dire tutte e tre queste Ore sia mantenuto, salvo il diritto particolare, da coloro che fanno vita contemplativa; lo si consiglia anche a tutti, specialmente a coloro che partecipano a un ritiro spirituale o a un convegno pastorale.

78. Fuori dal coro, salvo il diritto particolare, si può scegliere una delle tre Ore, quella che più si adatta al momento della giornata. Sicché coloro che non celebrano le tre Ore, debbono recitarne almeno una, in modo che sia conservata la tradizione di pregare nel corso della giornata nel mezzo del lavoro (circa la corrispondenza da osservarsi fra la celebrazione dell'ora e il tempo, cfr. sopra n. 11).

79. L'ordinamento di Terza, Sesta e Nona è perciò strutturato in modo da tener conto sia di coloro che dicono soltanto un'Ora, cioè la «Preghiera durante la giornata», sia di coloro che devono o desiderano dire tutte e tre le Ore.

80. Terza, Sesta e Nona (o «Preghiera durante la giornata») iniziano con il versetto d'introduzione: O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto, il Gloria al Padre, Come era nel principio e l'Alleluia (nel Tempo di Quaresima al posto dell'Alleluia si dice: Lode a te, Signore, re di eterna gloria). Quindi si dice l'Inno adatto all'Ora. Segue la Salmodia, quindi l'epitolella, o Lettura breve accompagnata dal Responsorio breve. L'Ora si conclude con l'Orazione e, almeno nella recita in comune, con l'acclamazione: Benediciamo il Signore. Rendiamo grazie a Dio.

81. Gli Inni e le Orazioni variano secondo le Ore, così da rispondere, come vuole anche la tradizione, al tempo vero e così santificare in modo più confacente le ore del giorno. Pertanto chi dice soltanto un'Ora deve scegliere quegli elementi che corrispondono all'Ora stessa.
Inoltre le Letture brevi e le Orazioni variano secondo l'indole del giorno, del tempo e della festa.

82. Viene proposta una duplice Salmodia: una ordinaria, l'altra complementare. Chi dice un'Ora soltanto usi la Salmodia ordinaria. Chi invece dice più Ore, in una prenda la Salmodia ordinaria, nelle altre quella complementare.

83. La Salmodia ordinaria consta di tre salmi (o parti, se si tratta di salmi più lunghi) desunti dal testo del Salterio. Quasi ogni giorno è proposta la recita di un ottonario del salmo 118, che ampiamente è stato illustrato da sant'Ambrogio (In psalm. 118).
In certi giorni sono prescritti salmi propri con le loro antifone, come da indicazione data a suo luogo. Nelle solennità, se non si devono usare salmi propri, si scelgono i salmi dalla Salmodia complementare, preferibilmente dal salmo 118.

84. La Salmodia complementare consta di ottonari del salmo 118, con l'aggiunta dei salmi 18B, 111, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127.

 

VII. COMPIETA

85. Compieta è l'ultima preghiera del giorno, da recitarsi prima del riposo notturno, eventualmente anche dopo la mezzanotte.

86. Compieta inizia con il versetto: Convertici, Dio, nostra salvezza. E placa il tuo sdegno verso di noi; quindi si aggiunge: O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto. il Gloria al Padre. Come era nel principio, e l'Alleluia (nel Tempo di Quaresima al posto dell'Alleluia si dice: Lode a te, Signore, re di eterna gloria).

87. Quindi si dice l'Inno adatto.

88. Segue la Salmodia come stabilito nell'Ordinario. Sono stati scelti salmi adatti a ravvivare specialmente la fiducia in Dio.

89. Dopo la Salmodia si dice la Lettura breve, seguita dal Responsorio; quindi si dice il Cantico evangelico Nunc dimittis con la sua antifona. Esso è quai il vertice di tutta l'Ora.

90. L'Orazione conclusiva si dice come è indicato nell'Ordinario.

91. Quindi si dice una delle Antifone alla beata vergine Maria. Oltre alle antifone che si trovano nella tradizione ambrosiana e latina, se ne possono usare altre approvate dalla Conferenza Episcopale Italiana.

92. Alla fine della Compieta si può fare l'esame di coscienza che, nella celebrazione comune viene compiuto in silenzio e si inserisce in un atto penitenziale espresso con le formule del Messale Ambrosiano.

93. Nella celebrazione pubblica, convenientemente si fa il congedo con l'invito: Dormiamo in pace. Vigiliamo in Cristo.

 

VIII. MODO DI DIRE LE ORE DELL'UFFICIO
CON LA MESSA O FRA DI LORO
QUANDO SI RITIENE OPPORTUNO

94. Secondo la tradizione ambrosiana si celebra la Messa durante i primi Vespri del Natale, dell'Epifania, della domenica di Pentecoste, e tra i Vespri del Giovedì santo, come è descritto sopra al n. 48.

95. Inoltre in casi particolari, se le circostanze lo richiedono, nella celebrazione pubblica o comune si può fare una unione più stretta tra la Messa e un'Ora dell'Ufficio, secondo le norme che seguono, purché la Messa e l'Ora siano del medesimo Ufficio. Si deve però evitare che ciò vada a detrimento dell'azione pastorale, specialmente in domenica.

96. Fermo quanto stabilito al numero precedente, quando la Messa viene celebrata unita ai Vespri, dopo il canto d'ingresso e dopo il saluto del celebrante al popolo si dice il Lucernario, poi si canta l'Inno dei Vespri. Quindi, omesso il Gloria in excelsis, che fosse previsto dalle rubriche, il celebrante recita l'Orazione della Messa «sopra il popolo», seguita dalla Liturgia della Parola. Si compie la Liturgia eucaristica nel modo solito. Dopo la Comunione si recita la Salmodia dei Vespri e il Magnificat con le rispettive antifone, omettendo la prima e la seconda Orazione dei Vespri. Segue l'Orazione dopo la Comunione e i riti di congedo, come nel Messale.

97. Quando le Lodi mattutine, fermo ancora quanto stabilito al n. 95, precedono immediatamente la Messa, si procede così: omesso il saluto, si iniziano le Lodi al modo solito e si prosegue sino al Salmo diretto incluso. Omessa poi la seconda Orazione e proclamato l'Inno, si recitano le Acclamazioni a Cristo Signore, dopo le quali inizia subito la Liturgia della Parola fino alla prima lettura. Quindi la Messa prosegue fino alla fine nel modo solito.

98. Se l'Ora di Terza, di Sesta e di Nona, celebrata pubblicamente in corrispondenza con la verità del tempo, precede immediatamente la Messa, l'azione liturgica può egualmente incominciare o dal versetto d'introduzione e dall'Inno dell'Ora (specialmente nei giorni feriali), o dal canto dell'ingresso con la sua processione ed il saluto del celebrante (specialmente nei giorni festivi), omettendo, nel caso, uno dei due riti iniziali. Segue quindi la Salmodia dell'Ora, come al solito, fino alla Lettura breve esclusa. Dopo la Salmodia, omesso l'atto penitenziale, si dice, secondo le rubriche, il Gloria in excelsis e il celebrante recita l'Orazione sopra il popolo. Quando invece l'Ora di Terza, di Sesta o di Nona segue la Messa, allora si celebra la Messa al modo solito fino all'Orazione dopo la Comunione esclusa. Poi incomincia subito la Salmodia dell'Ora, terminata la quale, omessa la Lettura breve con il suo Responsorio, si dice l'Orazione dopo la Comunione, poi si benedice il popolo e lo si congeda.

99. Eccettuato il caso della notte di Natale, si esclude di norma l'unione della Messa con l'Ufficio delle letture, perché la Messa stessa ha già la sua serie di letture, che si deve distinguere dall'altra. Se però la cosa si dovesse fare in un caso singolo, allora, subito dopo la seconda lettura dell'Ufficio, omesso tutto il resto, s'incomincia la Messa dall'inno Gloria in excelsis, se si deve dire; se no, dall'Orazione sopra il popolo.

100. Se l'Ufficio delle letture si dice immediatamente prima delle Lodi, cfr. n. 70.
S invece l'Ufficio delle letture viene detto immediatamente prima dell'Ora di Terza, di Sesta e di Nona, allora si può premettere all'Ufficio delle letture l'Inno intonato a quell'Ora; al termine poi dell'Ufficio delle letture si omette l'Orazione e la conclusione, e nell'Ora che segue si omette il versetto d'introduzione con il Gloria al Padre.

 

CAPITOLO III

I DIVERSI ELEMENTI
DELLA LITURGIA DELLE ORE

I   I SALMI E IL LORO RAPPORTO
CON LA PREGHIERA CRISTIANA

101. Nella Liturgia delle Ore la Chiesa prega in gran parte con quei bellissimi canti, che i sacri Autori, sotto l'ispirazione dello Spirito santo, hanno composto nell'Antico Testamento. Per la loro stessa origine, infatti, essi hanno una capacità tale da elevare la mente degli uomini a Dio, da suscitare in essi pii e santi affetti, da aiutarli mirabilmente a render grazie a Dio nelle circostanze prospere, da recare consolazione e fermezza d'animo nelle avversità. Dice, perciò, il nostro S. Ambrogio: «Il salmo è benedizione del popolo, lode di Dio, canto della comunità, acclamazione di tutti, linguaggio di ogni cosa, voce della Chiesa, canora professione di fede, devozione piena di autorità, gioia della libertà, esclamazione di giocondità, grido di letizia...» (In psalm. 1, 9).

102. I salmi, tuttavia, non offrono che un'immagine imperfetta di quella pienezza dei tempi che apparve in Cristo Signore e dalla quale trae il suo vigore la preghiera della Chiesa. Pertanto può talvolta accadere che, pur concordando tutti i cristiani nella somma stima dei salmi, trovino tuttavia qualche difficoltà, nello stesso tempo in cui cercano di far propri nella preghiera quei canti venerandi.

103. Ma lo Spirito santo, sotto la cui ispirazione i salmisti hanno cantato, assiste sempre con la sua grazia coloro che eseguono tali inni con fede e buona volontà.
È tuttavia necessario che ciascuno, secondo le sue possibilità, si procuri «una maggiore formazione biblica, specialmente riguardo ai salmi» (Sacrosanctum Concilium, n. 90). Inoltre si deve arrivare ad assimilare bene il modo e il metodo migliore per pregarli come si conviene.

104. I salmi non sono letture, né preghiere scritte in prosa, ma poemi di lode. Quindi anche se talvolta fossero stati eseguiti come letture, tuttavia, in ragione del loro genere letterario, giustamente furono detti dagli ebrei «Tehillim» cioè «cantici di lode», e dai greci «psalmoi» cioè «cantici da eseguire al suono del salterio». In verità, infatti, tutti i salmi hanno un certo carattere musicale, che ne determina la forma di esecuzione più consona. Per cui anche se il salmo viene recitato senza canto, anzi da uno solo e in silenzio, deve sempre conservare il suo carattere musicale: esso offre certo un testo di preghiera alla mente dei fedeli, tuttavia tende più a muovere il cuore di quanti lo cantano, lo ascoltano e magari lo eseguono con «il salterio e la cetra».

105. Chi dunque vuole salmeggiare con spirito di intelligenza deve percorrere i salmi versetto per versetto e rimanere sempre pronto nel suo cuore alla risposta.
Così vuole lo Spirito, che ha ispirato il salmista e che assisterà ogni uomo di sentimenti religiosi aperto ad accogliere la sua grazia. Per questo la Salmodia, anche se eseguita con tutto quel rispetto che si deve alla maestà di Dio, deve prorompere dalla gioia del cuore e ispirarsi all'amore, come si addice a una poesia sacra e a un cantico divino, e massimamente alla libertà dei figli di Dio.

106. Spesso le espressioni del salmo ci offriranno il modo di pregare più facilmente e con maggior fervore, sia quando rendiamo grazie a Dio e lo glorifichiamo in esultanza, sia quando lo supplichiamo dal profondo delle nostre sofferenze. Tuttavia – soprattutto se il salmo non si rivolge direttamente a Dio – può sorgere talvolta qualche difficoltà. Il salmista, infatti, nella sua qualità di poeta spesso parla al popolo rievocando la storia d'Israele; talvolta interpella altri, e fra questi magari anche creature prive di ragione. Talora introduce a parlare anche Dio stesso e gli uomini, e anche, come nel salmo 2, i nemici di Dio. È chiaro dunque che il salmo non è preghiera dello stesso tipo di una orazione o colletta composta dalla Chiesa.
Inoltre il carattere poetico e musicale dei salmi comporta che talvolta siano piuttosto cantati davanti a Dio anziché svolgersi in discorso diretto a lui, come avverte san Benedetto: «Consideriamo come ci si deve comportare alla presenza di Dio e dei suoi angeli, e partecipiamo alla salmodia in modo che il nostro spirito preghi all'unisono con la nostra voce» (Regula, c. 19).

107. Chi recita i salmi apre il suo cuore a quei sentimenti che i salmi ispirano secondo il loro genere letterario: di lamentazione, di fiducia, di rendimento di grazie. Questi generi letterari giustamente sono tenuti in grande considerazione dagli esegeti.

108. Chi recita i salmi, aderendo al significato delle parole, presta attenzione all'importanza del testo per la vita umana dei credenti.
Si sa, infatti, che ogni salmo fu composto in circostanze particolari, alle quali intendono riferirsi i titoli premessi a ciascuno di essi nel salterio ebraico. Ma in verità, qualunque sia la sua origine storica, ogni salmo ha un proprio significato, che anche ai nostri tempi non possiamo trascurare. Sebbene quei carmi siano stati composti molti secoli fa presso popoli orientali, essi esprimono assai bene i dolori e la speranza, la miseria e la fiducia degli uomini di ogni tempo e regione, e cantano specialmente la fede in Dio, la rivelazione e la redenzione.

109. Chi recita i salmi nella Liturgia delle Ore, li recita non tanto a nome proprio quanto a nome di tutto il Corpo di Cristo, anzi nella persona di Cristo stesso. Se ciascuno tiene presente questa dottrina, svaniscono le difficoltà, che chi salmeggia potrebbe avvertire per la differenza del suo stato d'animo da quello espresso nel salmo, come accade quando chi è triste e nell'angoscia incontra un salmo di giubilo, o, al contrario, è felice e si trova di fronte a un canto di lamentazione. Nella preghiera puramente privata si può evitare questa dissonanza, perché vi è modo di scegliere il salmo più adatto al proprio stato d'animo.
Nell'Ufficio divino, invece, si ha un determinato ciclo di salmi valevole per tutta la comunità ed eseguito non a titolo personale, ma a nome di tutta la Chiesa, anche quando si tratta di un orante che celebra qualche Ora da solo.
Chi salmeggia a nome della Chiesa può sempre trovare un motivo di gioia o tristezza, perché anche in questo fatto conserva il suo significato l'espressione dell'Apostolo: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12, 15), e così la fragilità umana, ferita dall'amor proprio, viene risanata nella misura di quella carità per la quale la mente concorda con la voce che salmeggia. (cfr. San Benedetto, Regula, c. 19).

110. Chi recita i salmi a nome della Chiesa, deve badare al senso pieno dei salmi, specialmente al senso messianico, per il quale la Chiesa ha adottato il Salterio.
Tale senso messianico è diventato pienamente chiaro nel Nuovo Testamento, anzi fu posto in piena luce dallo stesso Cristo Signore, quando disse agli apostoli: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi» (Lc 24, 44). Di ciò è esempio notissimo quel dialogo, riferito da Matteo, circa il Messia, figlio di David e suo Signore (Mt 22, 44ss.), in cui il salmo 109 è riferito al Messia.
Seguendo questa via, i santi Padri accolsero e spigarono tutto il salterio come profezia di Cristo e della Chiesa; e con lo stesso criterio i salmi sono stati scelti nella sacra Liturgia. Sebbene talvolta si proponessero alcune interpretazioni alquanto complicate, tuttavia generalmente sia i Padri sia la Liturgia con ragione vedevano nei salmi Cristo che si rivolge al Padre, o il Padre che parla al Figlio; anzi riconoscevano la voce della Chiesa, degli apostoli e dei martiri.
Questo metodo di interpretazione fiorì anche nel medioevo, quando coloro che salmeggiavano trovavano in molti codici, scritti in quell'epoca, il titolo preposto a ciascun salmo e così si apriva loro il senso cristologico dei salmi.
L'interpretazione cristologica non si limita soltanto a quei salmi che sono considerati messianici, ma si estende a molti altri, nei quali senza dubbio si tratta di semplici adattamenti, convalidati tuttavia dalla tradizione della Chiesa.
Soprattutto nella Salmodia dei giorni festivi, i salmi sono stati scelti in base a un certo orientamento cristologico, ad illustrare il quale per lo più vengono proposte delle antifone tratte dagli stessi salmi.

 

II   LE ANTIFONE E GLI ALTRI ELEMENTI
CHE AIUTANO A PREGARE CON I SALMI

111. Tre elementi nella tradizione latina hanno contribuito molto a far comprendere i salmi e a trasformarli in preghiera cristiana: i titoli, le Orazioni dopo i salmi e soprattutto le Antifone.

112. Nel Salterio della Liturgia delle Ore, ad ogni salmi è premesso un titolo sul suo significato e la sua importanza per la vita umana del credente. Questi titoli, nel Libro della Liturgia delle Ore, sono proposti unicamente ad utilità di coloro che recitano i salmi.
Per alimentare la preghiera alla luce della rivelazione nuova, si aggiunge una sentenza del Nuovo Testamento, di S. Ambrogio o di altri Padri, che invita a pregare in senso cristologico.

113. Le Orazioni sui cantici e sui salmi hanno lo scopo di aiutare coloro che li recitano a interpretarli in senso soprattutto cristiano. Normalmente una di esse è proposta da recitare nell'ufficio di feria dopo i salmi delle Lodi e dei Vespri. Anzi per i singoli salmi si potranno liberamente usare le rispettive orazioni, così che, terminato il salmo e fatta una breve pausa di silenzio, l'Orazione raccolga e concluda i sentimenti di coloro che hanno recitato il salmo.

114. Ogni salmo di solito ha la propria Antifona, che si dice ugualmente nella recita individuale. Le Antifone, infatti, aiutano a illustrare il genere letterario del salmo; trasformano il salmo in preghiera personale; mettono meglio in luce una frase degna di attenzione, che altrimenti potrebbe sfuggire; danno un certo tono particolare a qualche salmo a seconda delle circostanze; anzi, purché si escludano adattamenti stravaganti, giovano molto all'interpretazione tipologica o festiva; possono rendere piacevole e varia la recita dei salmi.

115. Le Antifone nel Salterio sono composte in modo da poter essere tradotte nelle lingue moderne, anzi da poter essere ripetute dopo ciascuna strofa, secondo quanto è detto al n. 126.
Nell'Ufficio del Tempo ordinario celebrato senza canto, al posto di queste Antifone si possono usare, se si ritiene opportuno, le sentenze preposte ai salmi (cfr. n. 112).

116. Quando il salmo, per la sua lunghezza, si può dividere in più parti entro una sola e medesima Ora, alle singole parti viene assegnata un'Antifona propria, sia per rendere più varia la recita dei salmi, specialmente nella celebrazione con il canto, sia per comprendere meglio la ricchezza del salmo; tuttavia è consentito recitare il salmo intero senza interruzione, usando una delle Antifone proposte.

117. Si hanno Antifone proprie per i salmi o i cantici all'Ufficio delle letture, delle Lodi, e ai Vespri delle domeniche del Tempo di Avvento, di Natale, di Quaresima e di Pasqua, come pure nelle ferie prenatalizie, nelle Ottave di Natale e di Pasqua e nella Settimana santa.

118. Nelle solennità l'Ufficio delle letture, le Lodi mattutine, Terza, Sesta, Nona e i Vespri hanno Antifone proprie; altrimenti si prendono dal Comune. Nelle feste si osserva la stessa norma alle Lodi mattutine e ai Vespri, e, e si tratta di feste del Signore, anche all'Ufficio delle letture.

119. Quelle memorie di Santi che le avessero, si celebrano con Antifone proprie (cfr. n. 235).

120. Le Antifone al Benedictus e al Magnificat, nell'Ufficio del Tempo si prendono dal Proprio del Tempo, se vi sono, altrimenti dal Salterio corrente; nelle solennità e nelle feste si prendono dal Proprio, se vi sono, altrimenti dal Comune; nelle memorie, che non hanno Antifona propria, si può dire o l'antifona del Comune o quella della feria corrente.

121. Nel Tempo pasquale, a tutte le antifone si aggiunge l'Alleluia, tranne i casi in cui non si accorda con il senso dell'Antifona (cfr. n. 209).

 

III   IL MODO DI SALMODIARE

122. Sono possibili svariati modi di eseguire i salmi secondo che lo richiedono il genere letterario, la lunghezza, la lingua, l'esecuzione individuale o collettiva, la partecipazione del popolo.
La facoltà di scegliere fra molte soluzioni possibili quella più confacente, giova non poco a far meglio percepire la fragranza spirituale e artistica dei salmi. Questi, infatti, non sono stati ordinati quasi fossero delle semplici quantità di preghiera da far seguire le une alle altre, ma secondo il criterio del contenuto e del carattere specifico di ciascuno di essi.

123. I salmi si cantano o si recitano secondo i diversi modi confermati dalla tradizione e dalla esperienza, cioè a versetti o strofe in alternanza tra due cori o parti dell'assemblea, oppure in modo responsoriale. Il Salmo diretto, ossia l'ultimo salmo delle Lodi mattutine, normalmente si dice da entrambi i cori, cioè da tutti, in comune e non in alternanza.

124. All'inizio di ogni salmo si premetta sempre l'Antifona corrispondente, come viene indicato ai nn. 114-121. Si mantenga poi l'uso di concluderlo con il Gloria al Padre e il Come era, a meno che più salmi vengano recitati «ad modum unius», come nella nostra tradizione è prescritto per i Salmi laudativi e per la Salmodia vespertina solenne e festiva. Il Gloria è infatti una conclusione adatta, convalidata dalla tradizione e tale da conferire alla preghiera dell'Antico Testamento un senso laudativo di carattere cristologico e trinitario.
Dopo il salmo si ripete l'Antifona.

125. Quando si usano salmi più lunghi, è permesso recitare l'intero salmo con una sola antifona. Tuttavia, nel Salterio se ne indica la divisione in parti: questa è fatta nel pieno rispetto della reale linea di pensiero del salmo stesso.
È bene attenersi a questa divisione in parti con le rispettive antifone, aggiungendo il Gloria al Padre al termine di ogni sezione, specialmente nella celebrazione con il popolo.

126. Quando, inoltre, il genere letterario del salmo lo consente, vengono indicate delle divisioni in strofe, in modo che, specialmente se i salmi vengono cantati in una lingua moderna, si possono eseguire intercalando l'Antifona dopo ogni strofa; in tal caso è sufficiente aggiungere il Gloria al Padre alla fine di tutto il salmo.

 

IV   CRITERI DI DISTRIBUZIONE
DEI SALMI NELL'UFFICIO

127. I salmi sono distribuiti in un ciclo di quattro settimane. Pochissimi sono quelli esclusi. Altri, poi, considerati come tradizionalmente più importanti, sono ripetuti con maggiore frequenza. Alle Lodi mattutine, ai Vespri e a Compieta sono assegnati salmi adatti alla rispettiva Ora (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 91).

128. Per le Lodi mattutine e per i Vespri, Ore particolarmente destinate alla celebrazione con il popolo, sono stati scelti salmi più adatti a questo scopo. Si conserva la tradizione di recitare alle Lodi mattutine quei salmi che o esprimono le lodi di Dio o sono adatti al tempo del mattino.

129. Per la Compieta si osserva la norma indicata al n. 88.

130. Alla domenica, anche per la Salmodia dell'Ora durante la giornata, sono stati scelti quei salmi che, secondo la tradizione, sono più indicati per esprimere il mistero pasquale. Al venerdì sono stati assegnati alcuni salmi penitenziali o che hanno riferimento alla Passione.

131. Soltanto nella Settimana santa si dice una parte del salmo 108. Invece questo e altri due salmi, cioè il 57 e l'82, vengono esclusi dal Salterio corrente, perché in essi prevale il carattere imprecatorio. Così pure alcuni versetti di qualche salmo sono stati omessi come viene indicato all'inizio del salmo. L'omissione di questi testi è dovuta unicamente ad una certa qual difficoltà psicologica. Infatti questi stessi salmi imprecatori si trovano nella pietà del Nuovo Testamento, per esempio nell'Apocalisse 6, 10, e in nessun modo intendono indurre a maledire.

132. I salmi che sono troppo lunghi per essere contenuti in una sola Ora dell'Ufficio, sono distribuiti in diversi giorni, nella stessa Ora, in modo che possano essere recitati integralmente da coloro che non sono soliti dire le altre Ore. Così il salmo 118, secondo una sua propria divisione, è distribuito in ventidue giorni all'Ora durante la giornata, perché per tradizione era assegnato alle ore diurne.

133. Il salmo 116, che chiama tutti i popoli alla lode di Dio, nella nostra tradizione, fin dall'antichità, ha funzione di dossologia: per questo viene recitato nella Salmodia vespertina delle solennità e delle feste e, quotidianamente, alle Lodi mattutine.
Inoltre, secondo un'antichissima consuetudine, nella Salmodia vespertina delle solennità e delle feste si recita anche il salmo 133, che esorta caldamente tutti i servi del Signore a protrarre la preghiera vegliando durante la notte.

134. Il ciclo di quattro settimane del Salterio è connesso con l'anno liturgico in modo tale che venga ripreso dalla prima settimana, tralasciando eventualmente le altre: la prima domenica di Avvento, la prima settimana del Tempo ordinario e la prima domenica di Quaresima. Nella seconda domenica di Pasqua lo si riprende dalla seconda settimana. Dopo Pentecoste, poiché nel Tempo ordinario il ciclo del Salterio segue la serie delle settimane, si riprende da quella settimana del Salterio che nel Proprio del Tempo è indicata all'inizio della rispettiva settimana del Tempo ordinario.

135. Nelle ferie prenatalizie, nel Natale e durante la sua Ottava, nell'Epifania del Signore, nella Settimana santa, nel giorno di Pasqua e durante la sua Ottava, a ogni Ora sono assegnati salmi propri scelti tra quelli proposti dalla tradizione ambrosiana. La loro applicazione è per lo più illustrata dall'Antifona.

136. I   I salmi e i cantici sono del Proprio o del Comune:
1) ai Vespri delle solennità e delle feste;
2) all'Ufficio delle letture nelle solennità e nelle feste del Signore;
3) alle Lodi mattutine delle solennità e delle feste.
II   Alle Ore durante la giornata nelle solennità, tranne quelle di cui si è detto al n. 134, e purché non ricorrano in giorno di domenica, tutta la Salmodia ordinaria si prende dagli ottonari del salmo 118.
III   In tutti gli altri casi i salmi e i cantici si prendono dal Salterio corrente, a meno che non ci siano Antifone proprie o salmi propri.

 

V   I CANTICI
DELL'ANTICO E DEL NUOVO TESTAMENTO

137. All'Ufficio delle letture, dopo l'Inno, si dice il Cantico dei tre giovani Benedictus es, a meno che al suo posto non sia indicato il Responsorio (cfr. n. 64).

138. All'Ufficio delle letture dei giorni di domenica, delle solennità e delle feste, la Salmodia consta, come d'uso, di tre cantici tratti dall'Antico Testamento. Oltre la serie già accolta dall'antica tradizione ambrosiana, per favorire la varietà, sono stati aggiunti al salterio altri cantici presi da diversi libri dell'Antico Testamento.

139. All'Ufficio delle letture di ciascun sabato si dice il cantico dell'Esodo Cantemus Domino, eccettuati il sabato che capita tra le ferie prenatalizie e il Sabato santo.

140. Alle Lodi mattutine, prima dei salmi si recita un cantico dell'Antico Testamento. Nelle solennità e nelle feste, secondo la tradizione della nostra Chiesa, il cantico veterotestamentario alle Lodi ricorda sempre, come immagine della redenzione eterna, la conquista della libertà del popolo ebraico dopo la tenebrosa schiavitù egiziana.
Nelle ferie prenatalizie poi si recita il Cantico Attende.

141. Durante i Vespri delle domeniche e delle feste e solennità del Signore, alla Commemorazione del Battesimo si recitano cantici tratti dal Nuovo Testamento.

142. I Cantici evangelici Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis abbiano il medesimo onore, la medesima solennità e dignità di cui si è soliti circondare la proclamazione del Vangelo.

 

VI   LA LETTURA DELLA SACRA SCRITTURA

a) Lettura della sacra Scrittura in genere

143. La lettura della sacra Scrittura, che per antica tradizione si fa pubblicamente nella Liturgia, non soltanto nella celebrazione eucaristica, ma anche nell'Ufficio divino, dev'essere tenuta nella massima considerazione da tutti i cristiani perché viene proposta dalla Chiesa stessa, non a scelta dei singoli o secondo la disposizione più favorevole del loro animo, ma in ordine al mistero che la Sposa di Cristo «svolge attraverso il ciclo annuale dall'Incarnazione e Natività fino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore» (Sacrosanctum Concilium n. 102).
Inoltre nella celebrazione liturgica la lettura della sacra Scrittura è sempre accompagnata dalla preghiera, in modo che la lettura porti maggior frutto e a sua volta la preghiera, specialmente nei salmi, venga compresa più pienamente e fatta con più intensa pietà in forza della lettura.

144. Nella Liturgia delle Ore, viene proposta sia una forma più lunga di lettura della sacra Scrittura sia una forma più breve.

145. Delle letture da farsi in certe occasioni durante i Vespri, si è già detto sopra al n. 48.

b) Ciclo di letture bibliche nell'Ufficio delle letture

146. Nel

 


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